how could I trust anyone after years of disappointment and betrayal? How could I not want to run away again and again? Escape. I will never be what society expects me to be. I've seen too much. I cannot turn back. I have been kidnapped, tortured, humiliated and abused. In the end I still have hope.I still believe in the goodness of humans.
Thank god for nature. For the angels that surround me. For the spirit of my mother who is always protecting me.From now on, I'm Madame X. And Madame X loves to dance.
Because you can't hit a moving target.
lunedì 24 giugno 2013
Quando non riesci più a cogliere la bellezza del quadro che hai sempre amato, é inutile continuare a fissarlo cercando di ricordare cosa ti piacesse di lui.
Staccalo dal muro e nascondilo, di bello rimarrà almeno il ricordo. Altrimenti corri il rischio di rimanere a fissare quel quadro e di arrivare ad odiarlo per il resto della tua vita.
Si era svegliato come tutte le mattine prima del suono della sveglia. La stanza era fredda come le sue lenzuola, eccetto per quel poco spazio che riusciva ad occupare e riscaldare in un letto così grande.
Si alzò e accarezzandosi le braccia si avvicinò alla finestra tirando le tende. Il palazzo bianco di fronte rifletteva la luce grigia di quella mattina di fine maggio. Si ricordò che in un altro posto, in un altro tempo, a maggio c'era il sole. Si voltò a destra per vedere la sua visuale preferita da quell'altezza. L'insegna del Folies Bergère.
Pensò per un attimo alla belle époque, a come doveva essere la music hall nel suo massimo splendore, alle persone che in quel periodo avevano avuto l'occasione di affacciarsi dalla stessa finestra.
Cercando di scacciare la malinconia, e sempre accarezzandosi le braccia nel vano tentativo di scaldarle, andò in cucina a prepare il caffè. Un tempo c'era qualcun altro a prepararlo per lui e questo secondo pensiero gli fece capire che il leit motiv della giornata non sarebbe stato diverso da quello degli ultimi mesi.
Con la tazza bollente tra le mani, infreddolito ma deciso a rimanere nudo perchè maggio in fondo è primavera, tornò in camera da letto ed iniziò a lavorare.
Il lavoro da casa, croce e delizia. No capi, no colleghi, no ritardi o metro da prendere erano le delizie, la continua solitudine era la croce.
Scrisse qualche pagina di getto dimenticando il caffè e dopo la doccia, quando se ne ricordò, tornò in cucina per scaldarlo qualche secondo al microonde. Aveva preso quella tremenda abitudine da qualcuno dei tanti coinquilini conosciuti nel corso degli anni.
Era triste. Sapeva anche perchè ma non lo ammetteva a se stesso. La cosa peggiore era che non faceva nulla per scacciare quella tristezza, preferiva farsi quasi proteggere da essa. E la cosa lo irritava a morte. Per quanto con gli anni fosse riuscito ad amarsi, quella sua naturale inclinazione che lo portava a condurre una malinconica esistenza faceva scattare in lui l'odio per se stesso.
Ancora nudo, ma scaldato dalla carezza calda dell'acqua della doccia appena fatta, tornò al computer cancellando le poche pagine scritte prima. Ancora nudo e deluso da se stesso, si rimise a scrivere. Questa volta però niente lavoro.
Scrisse a lui quello che non era riuscito a dirgli quando ancora riscaldava le sue lenzuola, preparava il caffè e lo aiutava, inconsapevolmente, a cancellare ogni traccia di malinconia dalle sue giornate.
Ti sembrerà strano ma sto ancora qui, a pensare a te e me insieme. Come potrei non farlo? Un anno in fondo non è così tanto tempo. E poi sei ovunque, non ho cambiato nulla in casa da quando sei andato via. Ricordo ancora quella mattina, era più o meno in questo periodo ma faceva caldo, c'era il sole a riscaldare i vetri della finestra al posto della pioggia che li sta bagnando in questo momento. Colazione insieme, un bacio al volo perchè al solito eri in ritardo e quel tuo "Ricordati: alle quattro al Pont d'Arcole!" urlato mentre correvi giù dalle scale. Io rimasi seduto col mio caffè in mano, sorridente, ad ascoltare il rumore della porta che sbatteva. Cominciai a pensare al pomeriggio che avremmo passato nel nostro locale, nell'Ile de la cité, e al regalo che ti avrei dato per farti una sorpresa. Sai cosa? Ancora adesso mi ritrovo a comprare stronzate solo perchè penso che possano piacerti. Che stupido che sono.
Ovviamente non mi stupii del tuo ritardo, ma non avrei mai pensato che non ci saremmo più rivisti. Quel bacio, quella frase urlata e quella porta sbattuta sono e saranno l'ultimo ricordo che avrò di te. Non so perchè ti sto scrivendo, forse perchè vorrei farti sapere che a breve lascerò questa casa, il lavoro, Parigi. Ma a che serve? Forse solo a me stesso, ma non so fino a che punto.
Mi manchi. Vorrei che tornassi, che mi riabbracciassi per l'ultima volta ma soprattutto che mi togliessi ogni interrogativo. Perchè oltre alla mancanza di te sono i "perchè" a farmi del male.
Mi manchi. Vorrei che tornassi e mi baciassi per l'ultima volta ma soprattutto che mi giurassi che stavolta non te ne andrai.
Perchè mi ami ancora e perchè sai che ti amo ancora.
Si asciugò le lacrime col dorso di entrambe le mani, andò in bagno a sciacquarsi il viso e si vestì. Decise di uscire, di lì a pochi giorni sarebbe andato via e probabilmente quella poteva essere l'ultima occasione per camminare tra quelle vie, cariche di turisti affascinati dal romanticismo della Città dell'Amore e gente in uscita da negozi e uffici ormai abituati all'idea di viverci, se mai ne abbiano realizzato la fortuna.
Improvvisamente per strada, camminando senza meta, sperò di incontrarlo girando ogni angolo e guadando ogni singolo viso di fronte a lui.
Si augurò di vederlo abbracciare e baciare qualcun altro pur di non partire con la sola certezza di non poterlo rivedere mai più.
Quando si è piccoli si aspetta questo periodo per almeno otto mesi su dodici. Al pari del proprio compleanno o delle vacanze estive. Si ama il Natale per tanti motivi. Primo tra tutti i regali. Ma a giocare un ruolo importantissimo sono le sensazioni del periodo che caratterizza questa festività, e le conosciamo più o meno tutti: il verde rassicurante degli alberi di Natale, il calore del rosso e dell'oro delle decorazioni, le rilassanti luci delle candele e il calore del fuoco di un camino, che anche se non lo si possiede, il nostro cervello è come se lo materializzasse in un punto qualsiasi della nostra casa.
In una parola credo che la sensazione che il Natale ci trasmettesse da piccoli sia “rassicurante”, come se per tre settimane/un mese tutto andasse bene, a casa nostra e nel mondo.
Crescendo si sa, svanisce la magia e si inizia a detestare il Natale, vuoi per i raptus di follia degli acquisti dell'ultimo minuto, vuoi per la smagnetizzazione di massa di bancomat e carte di credito per l'eccessivo utilizzo o per l'indecisione perenne tra pandoro e panettone o tra capitone e zampone. Vuoi per i falsi buonismi, i finti sorrisi e il dover fingere di augurare ogni bene a chi invece vorremmo seppellire con le nostre stesse mani. In una parola credo che la sensazione che il Natale ci trasmetta da grandi sia “stress”, come se per tre settimane/un mese tutto dovesse per forza andare bene, a casa nostra e nel mondo.
Forse da piccoli potevamo anche chiudere gli occhi e far finta che fosse così, ma farlo da grandi sarebbe da folli. Sono anni ormai che affronto le festività con eccessivo cinismo, lo sfuggo, mi nascondo, mi urta al punto che quando qualcuno mi augura “Buon Natale” io non rispondo, mi giro e scappo via in silenzio.
Mi chiedo che fine abbia fatto la persona che amava vedere papà e mamma sistemare luci e festoni, che abbracciava i nonni quando riceveva i regali, che si alzava da tavola per primo per vedere da lontano l'intera famiglia riunita a ridere e scherzare mangiando dolci e giocando a tombola.
Sarà il mio primo Natale lontano da casa. E, forse, darei un giorno della mia vita futura per riviverne uno della mia vita passata.
C: te la ricordi C: Cannelle C: quella C: che dava il culo per le morositas? M: certo! C: io volevo essere lei da grande M: ah bhè! C: avere il potere C: di ipnotizzare la gente col culo M: prova ad ipnotizzare la gente col cazzo M: il pendolo funziona sempre!